Arresti domiciliari
a cura di Giacomo Scortichini
Detenzione domiciliare articolo 284 c.p.p.
Dispositivo dell'art. 284 Codice di procedura penale ci dice che
“Con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta”.
E’ bene precisare che per abitazioni devono intendersi anche altre aree connesse alla struttura residenziale, anche se non strettamente abitative, ma di pertinenza esclusiva del reo.
Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono.
Questo intervento limitativo si struttura sulla rilevata necessità di una maggiore cautela, senza però giungere ad un livello di coercizione tale da snaturare la misura cautelare in argomento.
Fuori da questa ulteriore restrizione, il sottoposto agli arresti domiciliare potrà comunicare con familiari, conviventi e non conviventi via mail, al telefono, o ricevendoli a casa.
Il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, anche di propria iniziativa, possono controllare in ogni momento l’osservanza delle prescrizioni ordinate dal giudice.
Gli arresti domiciliari hanno il compito di limitare la libertà del soggetto e pertanto restano una misura cautelare; però evidenziano un principio di progressività che agisce all’interno del livello di gradualità afflittiva.
Appare del tutto evidente che il carcere sarebbe quella misura che risponde ad una più elevata offensività della condotta del soggetto e di una sua presunta pericolosità.
Quindi esiste la volontà, negli arresti domiciliari, di sanzionare severamente il reo e di porlo in una condizione di non poter nuocere, in attesa di una suo gradito ripensamento, senza però ricorre alla condizione afflittiva estrema che possiamo riscontrare nel carcere.
In tutta evidenza il giudice, nel caso di specie, ha rilevato che una condizione di maggior umanità possa favorire il recupero sociale del criminale, assolvendo così, la pena, al suo vero e più nobile compito che è quello di riconsegnare alla società un soggetto di degna e rispettabile moralità.
Proprio in questa direzione si muove la Cassazione con sentenza n.24995 del 2018, che afferma che l’autorizzazione al lavoro può essere concessa all’imputato sottoposto agli arresti domiciliari qualora questa consenta di provvedere alla educazione, all’istruzione e alla cura dei soggetti della famiglia dipendenti dal richiedente autorizzazione.
Appare evidente la volontà di ricercare, pur in una doverosa riprovazione per la pessima condotta, la volontà di creare i presupposti per una futura “ normalità” sia per il reo che per i suoi cari.
Infine bisogna sottolineare che non possono essere concessi gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione negli ultimi 5 anni antecedenti al fatto per il quale si procede.
Commenti
Aggiungi un commento