Contratto di buona fede
a cura di Giacomo Scortichini
Il contratto deve essere interpretato ed eseguito in buona fede.
L’articolo 1366 del codice civile ci dice che “ Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede”.
Esistono due condizioni interpretative del concetto di “buona fede” quello soggettivo che si realizza nella condizione psicologica di colui che non ha consapevolezza di ledere l’altrui diritto; mentre quello oggettivo richiama ad una correttezza da ambo le parti, nel loro essere insieme, nel loro costituire gli interessi contrapposti, che proprio grazie al contratto si tenta di ricomporre tali conflitti.
Conflitti che, tali restano, pur nell’agire regolatorio del negozio giuridico, perché la natura umana vive nel proprio “io” ed è per questo che l’articolo 1366 del codice civile ci richiama ad una lettura morale proprio nel concetto di “ buona fede” che deve trascendere dalla rappresentazione della volontà dei singoli contraenti per andare a costituire una volontà comune.
Un contratto che non si limita a ridisegnare le singole volontà e a tutelare i singoli diritti, ma un contratto che appunto, attraverso una interpretazione di “ buona fede”, riesca a costruire una volontà comune, la sola in grado di superare fraintendimenti, voluti o non voluti, i capziosi formalismi, per produrre un contratto che, nel distendere i suoi effetti applicativi, sia lo specchio della reale volontà delle parti.
Inoltre l’articolo 1375 ci ricorda che il contratto “deve essere eseguito secondo buona fede”, inserendo un concetto ancora più garantista, cioè quello di possedere la consapevolezza di non creare pregiudizio all’altro contraente o al suo stato patrimoniale.
La norma non entra nel merito delle condotte che potrebbero configurare tali situazioni, però con il seguente articolo intende rafforzare il concetto di buona fede non solo interpretativa ma anche esecutiva.
Si può affermare che la volontà del legislatore è quella di connotare il negozio giuridico non come una conclamata divergenza, bensì come una solidale soluzione ad interessi contrapposti, che debbono essere sanati, nella “buona fede”, fuori da eventuali abusi del diritto che, pur nella loro formale liceità, rimetterebbero nell’ambito della formulazione contrattuale il concetto di “conflitto” che non è mai foriero di “buona fede”.
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